Una vita tranquilla

E’ un po’ come “Le Conseguenze dell’Amore” (10/10) ma qualche gradino più in basso, forse qualche decina di gradini più in basso.

Guardare Toni mentre osserva fuori da una qualsiasi finestra è un’esperienza che scalda la mente di ogni intellettuale. Ogni ruga è calcolata e espressiva.

Una rappresentazione napoletana/tedesca precisa e pulita nelle immagini che però non regala particolari emozioni.

Intimista ed anziano.

Voto: 6/10.

Antichrist

Approcciare un film di Lars Von Trier non è mai un operazione indolore. E questo Anticristo non ne fa eccezione. Film ipercriticato dai detrattori di Lars, accettato dagli estimatori e sui cui la critica si è masturbata senza risultato per poi negarne la bellezza.

Tecnicamente distinto. Immagini torbide. Climax curato. Crudo e sessuale. Vedere scene di violenza e poi di sesso e poi ancora di violenza non possono non sconvolgere lo spettatore.

Quindi mi è piaciuto moltissimo? Insomma. Troppo personale e psicologico, intimista ma non nel senso globale ma nel senso che Lars ha seri problemi con la vita come noi la conosciamo.

Charlotte bravissima e bellissima, se la bellezza fosse la somma delle spigolosità (fisiche e caratteriali) di una persona lei sarebbe la Marylin Monroe del 21esimo secolo. Willem Dafoe discreto ma oscurato dalle crisi e dalla fisicità di Miss Gainsbourg.

Musica non mi parne di averne udita se non nell’emozionante prologo ed epilogo, quando l’etere si riempie con le note di “Lascia ch’io pianga” di Handel (guardatevi il video).

Non ho molto altro da dire poiché il film lo dimenticherò molto presto nonostante le sue particolarità. E questa è l’offesa peggiore.

Attendiamo Melancholia sperando che il prossimo esperimento da psicologo autodidatta sia migliore.

“A crying woman is a scheming woman” 

Voto: 6.5/10 (per l’impegno)

Once


Lui è un musicista di strada che per vivere ripara aspirapolveri, vive con il padre, madre morta; è appena uscito da una storia d’amore con un ragazza che l’ha tradito e di cui è ancora innamorato.
Lei è una ragazza di origini ceche, con una bambina, sposata, vive con la madre e la figlia, suona il piano per passione e canta; vive vendendo rose per strada.
La città: la magica, grigia, sporca e rauca Dublino.

Lui è irlandese in tutto, rosso con la sciarpa marrone, compone canzoni d’amore.
Lei suona un’ora al giorno in un negozio di musica perché “In Irlanda i pianoforti costano troppo“.

Sono entrambi squattrinati.

E’ un musical che parla di loro due, con delle canzoni originali che dire stupende è riduttivo. Girato interamente con una telecamera a mano per le strade di Dublino, senza permessi all’insaputa dei passanti. Fotografica minimalista ma quando iniziano a cantare e suonare tutto viene saturato da colori caldi e avvolgenti. Sorride ed emoziona vedere loro due cantare assieme con dietro un aspirapolvere o lei cantare per strada mentre cammina vestita con una vestaglia e un paio di babbucce.

Se dovessi fermarmi a parlare solo del musical in se (entrambi gli attori non sono professionisti ma sono in realtà dei musicisti) il film sarebbe da 10. Ma c’è anche una storia che ogni tanto qualche colpetto lo perde. Rimane un opera indie originale emozionante e personale. Tutti i premi che ha vinto sono ampiamente meritati.  Il finale vi avverto vi farà incazzare/rattristire come iene.

Voto: 8.5/10

Lebanon

Film energico questo israeliano. Narra di un gruppo di quattro militari addetti ad un carroarmato durante la guerra dell’82 in Libano. Tutto il film si svolge all’interno della cabina del cingolato, l’unico sguardo sull’esterno avviene attraverso l’obiettivo di puntamento.

Film teso e nervoso, che crea una certa ansia nello spettatore, non ci si può rilassare. Ogni battuta o ogni dialogo tra i soldati viene sempre e perennemente interrotto da qualche evento esterno.

Regia discreta, attori tutti all’altezza, semplicemente sublime il comandante del plotone Zohar Shtrauss: duro e immerso nella parte, specchio vero e proprio della guerra.

“Ma prima si deve dare una pulita al carro.
Non è possibile fare la guerra in questo schifo.”

Film che va apprezzato sia per i molteplici messaggi (sebbene non particolarmente originali) sia per la tecnica e con il coraggio con cui è stato realizzato. I film che si basano su qualche forte espediente (in questo caso tutte le riprese all’interno del carro) di solito trascurano dettagli importanti nella sceneggiatura oppure nell’evoluzione dei personaggi. Questa pellicola per fortuna ne è l’eccezione.

Note dolenti: forse un po’ troppo corto, a tratti pare che Samuel Maoz (il regista) sentisse la necessità di colpire/spiazzare lo spettatore tenendolo sempre all’erta più che fermarsi a riflettere su qualche particolare.

E la guerra? Rende vittime tutti e Lebanon cerca di farcelo capire dal punto di vista di Israele. Soldati impreparati e tormentati, carnefici di mille stragi. Lo sguardo del mitragliere attraverso l’obiettivo è un’ottima metafora, uno sguardo umano, infelice, impaurito, attento però ai particolari. Che poi questi giovani soldati siano colpevoli o no non lo so e non credo che nessuno di noi possa avere l’arroganza di dare un giudizio.

Di parte sicuramente ma un bel vigoroso film.

Voto: 8/10

Stanno tutti bene VS Stanno tutti bene (ovvero Everybody’s fine)

Veloce confronto tabellare tra la versione italiana del 1990 e la versione americana del 2009. La storia è praticamente identica, intere scene semplicemente clonate. Racconta di un anziano che compie un viaggio per incontrare i suoi figli/e in giro per l’Italia/USA, praticamente un anziano on the road che scopre che la sua prole non se la passa poi così bene.

Titolo Stanno Tutti Bene Everybody’s fine
Voto 7.5 7
Voto Regista 8 (Giuseppe Tornatore): la vena onirica che ricorda Fellini crea dei momenti e delle scene gradevoli 6.5 (Kirk Jones): moscio e didascalico, ha fatto i compiti
Voto protagonista 7 (Marcello Mastroianni): un po’ affaticato e troppo nascosto dentro i suoi vestiti e dietro i suoi occhiali 8.5 (Robert De Niro): strepitoso sia nella componente drammatica che in quella comica (vedi la scena con la prostituta: minimalista)
Voto altri attori 6: Gli attori italiani a tratti paiono semplici macchiette 7: il cast americano composto da Drew Barrymore, Sam Rockwell e Kate Beckinsale è più affiatato con Rober De Niro.
Locandina
Versione Originale Remake
Musiche Qui c’è Ennio Morricone quindi il vincitore non può essere che lui. Hands down. Il buon Dario Marinelli ci prova a stare al passo con il maestro ma non ci riesce. Discreto ma non ai livelli di qualche suo precedente lavoro come Atonement. Non male la ballata originale di Paul McCartney.
Migliore Scena Il sogno nella spiaggia e la grande piovra volante. I tre incontri con i figli.
Ambiente Le scene corali del film sono ben dirette. Tornatore cerca di ritrarre l’Italia del ’90. Gli USA fanno solo da sfondo.
Carattere Amaro e senza speranza Ironico e conciliante
Best quote “E’ siciliano?”
“E’ Grave?”
“Well, we got wines from all over the world. We got, uh, English wines from France, we got Italian wines from all over Europe.

Harry Potter e i doni della morte parte 1 ovvero aborro il disprezzo preventivo

Dovrei provare a recensire il buon Harry Potter and the Deathly Hallows part 1 ma non voglio farlo. Trattasi di un buon film, dark, cupo, maturo, sicuramente il migliore della direzione targata David Yates. Ma non è questo il nocciolo della questione, voglio solo scatenarmi contro chi disprezza il maghetto occhialuto a priori. Perché oggi tanto per cambiare sono retoricamente polemico.Iniziamo dai fatti e cerchiamo di essere pragmatici:

  • Harry Potter è un fenomeno letterario di proporzioni storiche
  • Harry Potter è un fenomeno sociale
  • Harry Potter ha un struttura narrativa impeccabile
  • Joanne Rowling scrive molto bene
  • I film su Harry Potter sono sempre piacevoli e mai noiosi
  • 3 libri su Harry potter sono notevoli (vedi Il prigionerio, I Doni della Morte e il Calice di Fuoco)
  • Il mondo descritto in Harry Potter è affascinante
Detto questo chi mi guarda e mi dice “Non mi piace Harry Potter“, “Harry Potter è una cazzata” mi incuriosisce. Quindi gli chiedo “Come mai?“, ce ne fosse uno che adducesse una motivazione seria o portasse delle tesi a supporto della sua teoria. La razza peggiore sono quelli che si rifiutano a priori appunto dicendo “Fantasy, magie maddai sono delle stupidate perché non esistono nella realtà“. Ma con questa tipologia di persone ho da parecchio rinunciato in quanto amante da una vita di fantascienza, fantasy e fantastico.
Detto ciò a tutti gli scettici consiglio di dargli una possibilità, anche solo per l'”importanza sociale” di questo fenomeno, poi possono criticare. Io la ritengo una saga buona ma non eccelsa.

This Is Spinal Tap

Falso Rockumentary che prende in giro tutto il rock. Erano 15 anni che non lo vedevo ma il buon Lampis me l’ha ricordato con una scena particolarmente divertente. Parla di una fittizia band, gli “Spinal Tap” appunto, che fa l’ultimo tour negli USA dopo 15 anni di carriera.

Si ride ovunque, ad ogni battuta e ad ogni inquadratura. Potrebbe sembrarvi esagerato nel modo in cui viene narrato ma non lo è. I due protagonisti funzionano benissimo, le loro capigliature icona dell’Hair Metal fanno tenerezza rivedendole oggi.

Il buon Rob Reiner ha preso tutti gli stereotipi delle rock band metal e non solo e li ha conditi con situazioni grottesche e irriverenti.

Le canzoni, se canzoni si possono chiamare, composte per il film fanno il loro lavoro più che egregiamente.

Illuminanti le migliaia di citazioni di cui il film è disseminato: Beatles, Rolling Stone, Aerosmith, Black Sabbath ecc ecc.

Sicuramente uno dei migliori film musicali e sul mondo della musica mai prodotti.

Voto: 8.5/10.

Derek Smalls: That’s not to say I haven’t had my visionary moments.
I’ve taken acid seventy… five, seventy-six times.
Marty DiBergi: 76?
Derek Smalls: Yeah, so I’ve had my moments in the sky.

Simon Konianski

E’ una commedia divertentissima e se il regista avesse osato di più sarebbe stata un cult. E’ un film sugli ebrei che parla degli ebrei, con il loro esilarante (e classico) umorismo.

Nella prima parte parla del rapporto tra tre generazioni: padre, figlio e nonno. Il nonno muore e diventa un road movie (non vi rovino nulla succede nella prima mezzora). Padre, figlio, fratello e sorella del defunto partono per l’Ucraina per andare a seppellire la salma in un luogo sperduto: in un cimitero dove é sepolta la prima moglie del vecchio.

Vengono tirati in mezzo i nazisti, i russi e ci sono dei momenti in cui piangi dalle lacrime.

“Volevo dirle di ricordarsi del Supradyn”

La palma alla miglior scena comica va al breve monologo del rabbino (sempre più capo tribù): “Lufthansa? No” (mai una linea area tedesca), in particolare quando per il trasporto del cadavere fa i conti con maniacale precisione con la calcolatrice, parla male delle strade ucraine e ricorda la scarsa ospitalità di quel paese. L’apice raggiunge quando suggerisci di seppellire il morto a Gerusalemme sul monte degli Ulivi “Una buona offerta lastminute”.

La parte amara riguarda la coscienza del passato e la scopertà dell’identità del protagonista ma di questo non voglio parlarvene per non rovinare a voi questa rinascita.

Guardatevelo se volete ridere e sorridere. Una discreta pellicola di formazione belga. Voto: 7/10.

Four Lions

Film veloce dai dialoghi serrati. La visione in lingua originale non è stata facile, colmo di slang, frasi mezze in inglese, mezze in pakistano e arabo.

Divertente ma profondamente pesante. Non credo di aver percepito tutte le morali e le implicazioni. Parla di una cellula terroristica islamica sgangherata in Inghilterra. Tutti si prendono terribilmente sul serio, tutti credono nelle loro idee. Mai surreale.

Commedia nera tragica sulla Jihad da prendere (a sua volta) sul serio, sia da una parte che dall’altra. Nemmeno gli occidentali ne escono indenni. Bravo il regista, che gira con la telecamera a mano ed è sempre al centro dell’azione. Avevo già avuto l’opportunità di apprezzarlo per l’ottimo “The IT Crowd“, serie TV divertentissima sul reparto IT di una grande azienda (consigliatissimo a tutti i geek o presunti tali).

Irriverente, satirico e scomodissimo7.5/10.

“What’s with the gun?”
“Proper replica man”
“It’s too small man!”
“Not too small, brother. Big hands!


P.S. I love you

Sono arrivato a lui perché avevo letto da qualche parte che aveva a che fare con l’Irlanda, mio grande amore.

Espediente semplice e originale anche se commerciale, Hillary è tanto bruttina quanto brava, a tratti commovente.

Lui muore e lei si trova da sola e vedova, lui le scrive delle lettere prima di morire che arrivano giorno dopo giorno. Lei si costruisce una nuova vita con il suo aiuto.

Carino, una bella cazzata. Insomma vedetevelo e non prendetevi troppo sul serio.

6/10.

Departures ovvero Okuribito

Sono certo che la mia prosa non sia degna di tale film, probabilmente dovrei tacere, nella migliore tradizione nipponica, e semplicemente sussurrare “capolavoro”. La pellicola mi ha emozionato all’inverosimile, ho perso il numero di volte che dai miei occhi sono scese le lacrime non solo per la tristezza ma soprattutto per l’intensità. Departures parla di tutto e come tutto alla fine ritorna a se stesso. Tutto trova una collocazione.

E’ la storia di un giovane violoncellista disoccupato che da Tokyo si trasferisce nel paesino dove è nato e inizia una nuova vita assieme alla moglie. Trova lavoro come assistente tanatoesteta (colui che prepara i morti per l’ultimo viaggio).

Colpisce la gestualità dell’opera, la discrezione, la dignità tipica della cultura orientale (qualsiasi paragone con le tragedie attuali è fortemente voluto). Mi risulta particolarmente complesso essere originale nel descrivere Departures, non posso fare altro che dire banalità sincere.

La morte, la vita, la famiglia, i rapporti e i doni sono i protagonisti. Pregno di filosofia e saturo di buon senso. Come ad esempio capire il proprio dono e prendere coscienza di quello in cui si è mediocri. Come il rispetto per ogni persona e ogni cosa. Come l’impossibilità di dimenticare. Come l’importanza della deferenza verso la morte e l’importanza sia per il defunto che per i “cari” di prepararsi per la dipartita. La riflessione sulla morte di questo film vi entrerà dentro. Departures è un film che parla quindi di argomenti personali, intimi ma lo fa anche con ironica profondità. E le partenze non riguardano solo le morti ma anche le partenze da un certo tipo di vita, conoscere i propri limiti e viaggiare verso altre destinazioni, alla ricerca della rinascita spirituale trascurando le convinzioni sociali (scusate ancora per la banalità).

Departures è semplice, raccontato in modo semplice, nessun eccesso nella storia ma è imponente e sontuoso, perfetto e composto (spero che anche i detrattori di Via Munerati concordino).

Oscar come film straniero pienamente meritato anche se la vittima in questo caso è un altro fuori classe (Valzer con Bashir, 9/10).

Capolavoro. 10/10.

Animal Kingdom

Animal KingdomUno dei film più discussi del 2010 finalmente è arrivato sotto le mie grinfie. Imponente film australiano confezionato egregiamente.

Attori tutti all’altezza, impressionante Jacki Weaver, meritatissima la candidatura all’Oscar come miglior attrice non protagonista. Molto bene anche Guy Pearce che quando rimpatria rinasce (vedi anche The Proposition).

Narra la storia di una famiglia criminale: madre, figli e nipote; buoni e cattivi, distinzione veramente sottile e inutile per la storia.

L’opera è come una specie di rock in slow motion, pochi dialoghi, nessuna sparatoria, pochissimi effetti speciali. Ci sono persone che muoiono, persone che si drogano ma tutto viene presentato in modo intimista, senza chiasso e clamore.

Discreto il modo in cui viene delineato il carattere dei vari personaggi.

Un opera sensibile priva però del tocco, è mancato forse un po’ di coraggio. 8/10

“I’m having trouble trying to find my positive spin.
I’m usually very good at it. Usually it’s right there, and I can just have it.
But I’m having trouble finding it now.”


Tutte le cene cretine

Il remake americano A cena con un cretino (Dinner for Schmucks, 5/10) del francesissimo La cena dei cretini (Le dîner de cons, 6/10) è mediocre ma tutto sommato piacevole. Steve Carell in buona forma e in un ruolo cucito su misura. Il buon Paul Rudd non si spinge mai oltre, osa raramente, rimane una decente spalla ma avrebbe potuto dare di più.

Il film è una semplicissima commedia senza pretese che sostanzialmente usa l’espediente della cena con dei cretini (ogni invitato deve portare un cretino) per una serie di gag più o meno esilaranti.

La versione originale francese è più cerebrale e meno grottesca mentre la versione americana più centrata sull’umorismo gutturale e fisico: come ad es. il surreale Therman con il suo Mind Control, Kieran con il suo influsso animale o la battaglia finale con il Brain Control.

Molto gradevoli i titoli di testa e di coda con con i topi imbalsamati.

Se volete andare a cena con dei cretini vi consiglio, senza dubbio, la versione francese; quella americana solo per i fan sfegatati di Carell (so che non sono pochi).

Hai mai visto un mammifero fare l’amore con un uccello?

L’ultimo dominatore dell’aria ovvero The Last Airbender

Ed ecco a voi un film inutile, ottimo per sprecare due ore della vostra vita. Invito tutti a guardarlo perché è un “brutto” talmente estremo che all’infinito si tocca con il suo opposto. Aiutatemi a capire cosa sia successo al discreto M. Night Shyamalan negli ultimi anni. E lista sia:

  • gli attori sono espressivi come la signora Adele quando compra un chilo di macinato al supermercato
  • i dialoghi sono degni di un programma pomeridiano sui buoni sentimenti della Disney
  • la regia è floscia, non riesce a stare dietro all’azione, è sempre fuori tempo nonostante sia un 4/4 standard
  • pellicola totalmente impersonale e fredda, pare in alcuni tratti una brutta copia della didascalica Ursula K Le Guin
  • la scenografia è plasticosa come un pezzo di caucciù
  • l’avatar, il protagonista, è una bambino che vorresti sculacciare dalla prima inquadratura
  • la storia è complessa come la favola della buona notte
  • il montatore soffriva di amnesia? nel montaggio mi sa che si è qualche centinaio di scene
  • è costato 150,000,000 di verdoni: con quei soldi si potevano fare 150 film indie… sigh

2/10 perché sono uno sfigato geek a cui le ambientazioni fantasy e fantastiche appassionano.

Ode a Monica Vitti

In questo uggioso pomeriggio di domenica mi sono cimentato con un classico “L’avventura” del buon Antonioni; l’obiettivo era anche quello di estrarne un piacevole post centrato sul cinema italiano di qualità degli anni ’60. Mi ritrovo, come molte volte, ossessionato invece da Monica Vitti: grandissima attrice.

L’ode potrebbe quindi iniziare dai meriti cinematografici, parlando ad esempio de “La ragazza con la pistola” essenza del suo essere donna e attrice. In realtà mi ritrovo stranamente ignorante in materia, non conosco tutta la sua cinematografia, in particolare ho delle lacune importanti nella sua carriera francese; ma la conosco molto bene come donna.

Bella, bellissima (ma anche bruttina), quinta essenza della donna. La mia ode è quindi focalizzata sull’emozioni che questa donna ha comunicato.

Attraente, femminile e affascinante in qualsiasi posa e in qualsiasi gesto, con la sua voce leggermente roca e dominante, labbra carnose che quando si aprono in un sorriso donano significato alla commedia. Riempie sempre lo schermo con la sua presenza, la sua pelle candida da giovane dona a vecchie pellicole luminosità. Talentuosa.

Occhi quasi mai totalmente spalancati, faccia stanca ma morbida, un po’ assonnata, lineamenti qualche volta rigidi che donano la giusta dose di imperfezione nello splendore.

Polpacci affusolati, lentiggini talvolta, una capigliatura folta, qualche ciuffo biondo che le accarezza sensuale il viso. Rossa, bionda, castana scura o castana chiara; sublime charme anche quando compie azioni sgraziate.

Una Monica, che in passato, che ci ha servito con grasse risate e tristi silenzi, lasciamole ora una ossequiosa pace negli anni della vecchiaia e della malattia.

“Le attrici – diciamo – bruttine che oggi hanno successo in Italia lo devono a me.
Sono io che ho sfondato la porta.”

Il discorso del re ovvero The King’s Speech

Parlare di questo film, secondo me, pieno di contraddizioni, non è per nulla semplice e lineare.

Partiamo da una certezza: è sicuramente un buon film ma non è un capolavoro. Geoffrey Rush offre un’onesta interpretazione e Colin Firth una discreta; probabilmente entrambe penalizzate da un doppiaggio a tratti piatto. Sono molto curioso di vedere alcune scene in lingua originale per sapere di chi o di che cosa sia la colpa.

Un paio di scene su tutte mi hanno toccato:

  • la scena del discorso per l’intensità delle parole, per la bravura di Rush nell’immedesimarsi nella direzione di un’orchestra, negli applausi e nei complimenti
  • una delle chiaccherate tra Bertie e Lionel, quella in cui sorseggiano del brandy e parlano dell’infanzia del duca

Fotografia ruvida, dai toni decisi e grigi, poca saturazione, che trasmette bene l’atmosfera precedente alla seconda guerra mondiale e adorna Londra di una luce che gli si addice.

Dovete vederlo perché ha vinto tantissimi premi sia indipendenti che mainstream, traete poi le vostre conclusioni. Le mie sono dolci e amare, i premi oscar per la miglior regia e il miglio film sono sicuramente eccessivi.

Un’ultima critica la voglio fare all’approccio storico: un poco superficiale, per fortuna che poco tempo fa avevo visto un buon film sulla vita di Churchill “Into The Storm“.

Ondeggio tra il 7 e l’8 quindi gli do una via di mezzo: 7.5/10.

“In this grave hour fuck fuck fuck perhaps the most fateful in our history bugger shit shit.
I send to every household of my p-p-peoples… The letter’P’ is always difficult.”

Settimo Cielo ovvero Wolke 9

Un film ricorrente nella mia memoria, un opera dolce e matura. Vi prego non confondetelo con la mediocre serie TV.

Parla di un’anziana signora sposata che tradisce il marito con un coetaneo. Una relazione basata anche sul sesso, sesso tra anziani mai triste e volgare ma sempre sensuale.

Fotografia distinta e personaggi all’altezza.

Una produzione atipica per la cinematografia tedesca, una passione vera.

Qualsiasi tabù viene lacerato nelle scene traboccanti di coraggio quando i due protagonisti si trovano vicini.

Ricordo a me stesso che qualsiasi polemica sulla traduzione dei titoli è sterile ma non posso fare altro che indignarmi di fronte all’ennesima vergogna. Al rogo chi traduce i titoli in italiano in modo indegno, perché dobbiamo sempre tradurre? perché dobbiamo tradurre?

Una storia semplice e coraggiosa dalle implicazioni traumatiche, una commedia con un finale triste come la vita.

“Lo sai come scopano quelli di 80 anni?
Lei sta a testa in giù e lui glielo cala dall’alto”

Gigantic

Consigliato da un’amica (Maria) con cui mi ritrovo spesso ad avere opinioni simili, questo film è altalenante, gravido di alti e bassi. Con una buona sceneggiatura e degli ottimi dialoghi.

Fa fatica però a decollare, la prima mezzora è apatica, poi migliora fino a diventare discreto ma mai di più. Difficile dire cosa gli sia mancato… anzi ora lo so: la relazione tra i due è gettata lì, senza nessuna convinzione, piatta. Zooey è presente, utile alla storia ma non determinante, Dano e la storia la sovrastano sempre. Il tutto si amalgama ma con evidente difficoltà.

Rimane una discreta indie smart comedy, priva però del tocco. Bravo Edward Asner nel ruolo del nonno-papà ma soprattutto bravo-bravissimo a Dano.

Da ricordare, a parte tutte le stranezze di cui questo film è pieno (barbone, adozione…) la scena dove Brian e Happy parlano in cucina e lui si beve due vodka. Semplice e lineare, perfetta nei tempi e nella luce (una fotografica fredda e minimalista).

P.S. La storia degli attacchi da parte del barbone rimangono per me criptici.

Voto: 6.5 / 10

“Did you know women are 20 times more likely to be depressed than men? Maybe more, can’t remember the exact number – it’s a lot more.”
“That’s good… for men” ”
Not really, when you think about heterosexually.”

Kolya [Kolja]

Oscar come miglior film straniero nel 1997, è rimasto nel mio cassetto dei film da vedere da più di dieci anni.

E’ la storia di un uomo di mezza età Louka, un dotato musicista cacciato dalla filamornica. Ora 55enne sopravvive suonando ai funerali e decorando tombe. Donnaiolo, single e indebitato, vive in una “torre” a Praga.

Per saldare parte dei suoi debiti decide di sposarsi con una musicista russa così lei può avere la cittadinanza ceca. Dopo il matrimonio lei fugge in Germania Ovest per suonare e Louka si ritrova ad accudire il suo bambino, Kolya appunto.

Louka non parla russo, Kolya non parla ceco, e da qui  ci viene così raccontato e spiegato come nasce il mestiere del padre, giorno dopo giorno.

Tutto è pervaso da un senso di leggerezza e di dolcezza; il regime comunista e la famosa Rivoluzione di Velluto sono descritte garbatamente. Praga fa solo da sfondo putroppo, avrebbe potuto dare un carattere ancora più poetico al film.

Da critici nostrani viene mossa una critica pesante al doppiatore italiano: “viene reso il personaggio di Kolya troppo triste”; effettivamente dalle immagini e dal carattere burlesco del personaggio un doppiaggio ed un tono più allegro avrebbe forse dato qualcosa di più a questa già buona pellicola.

Un’opera raffinata, in alcuni momenti poetica.

8/10